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Chiese - Luoghi di interesse storico e culturale

Il Duomo e le terme achilliane
Così come altri monumenti della Catania barocca anche il Duomo fu costruito su parte di un antico edificio romano. Posto a un livello più basso del piano di calpestio e completamente nascosto alla vista, questo edificio, conosciuto con il nome di terme Achilliane, si estende fino alla parte sud della piazza. Una porta che si apre sul lato destro della facciata consente di accedere alla grande costruzione che oggi, per motivi di sicurezza, viene tenuta chiusa al pubblico. L’importanza di questo edificio termale, uno tra i tanti della Catania romana, è costituita dal fatto che esso conserva, ancora leggibili, le imponenti strutture dei diversi ambienti tra i quali spicca una grande sala rettangolare che misura 12 metri per 13 la cui volta è sostenuta da quattro pilastri. Le ariose volte, riprodotte in alcuni disegni settecenteschi, sono abbellite da stucchi con immagini di fanciulli, animali e viticci con grappoli d’uva. Secondo alcuni studiosi il grande edificio, costruito vicino al mare, può essere datato intorno al III secolo d.C
Dopo il terremoto del 1693 il Senato cittadino decise di rispettare, nella ricostruzione, la stessa collocazione del Duomo normanno. Sull´originario impianto basilicale a tre navate G. Palazzotto nel 1709 iniziò ad elevare la chiesa sfruttando le preesistenze architettoniche. Il problema di armonizzare le enormi strutture portanti alla facciata fu brillantemente risolto da G.B. Vaccarini, abate e architetto di origine palermitana, che fu uno dei più geniali e scrupolosi artefici della ricostruzione settecentesca di Catania. Egli utilizzò molti materiali preziosi che provenivano dai monumenti antichi catanesi, quasi a volere ribadire il concetto di continuità tra presente e passato.Superato il grande portone d´ingresso si ha l´impressione di abbracciare un insieme rigoroso e armonico dominato dalla grandiosità delle componenti architettoniche, alleggerite dai giochi della luce calda e uniforme. Addossata al secondo pilastro a destra la tomba di Vincenzo Bellini, grande musicista catanese (1801-1835); tra un pilastro e l´altro si possono vedere alcune strutture dell´antico tempio messe in luce durante i lavori di restauro del 1952; il livello più basso dei ruderi è giustificato dal fatto che dopo il terremoto le macerie che ricoprivano le navate erano così abbondanti che, all´atto della seguente ricostruzione, si preferì lasciarle in loco e impiantare sopra di esse un nuovo piano di calpestio. Nella prima campata, a destra, è un affresco con Il Battesimo di Cristo di G. Tuccari (1667-1743); al primo altare una tela con S. Febronia del Borremans (1735); al secondo altare S. Rosalia (1736) sempre del Borremans. Al terzo altare è la tela con S. Antonio di Padova attribuita al Borremans; al quarto altare una Sacra Famiglia del pittore catanese del Seicento P. Abbadessa; al quinto altare una tela con la Madonna Corredentrice di E. di Giovanni, artista catanese contemporaneo (1887-1979). Lungo la navata sinistra: al primo altare è una tela con S. Giorgio datata 1624 del catanese G. La Manna; al secondo altare il S. Francesco di Paola opera del catanese G. Guarnaccia che operava nel Settecento; al terzo altare una tela con la Madonna delle Grazie, S. Gaetano e S. Filippo Neri del Tuccari (1726). Sul quarto altare spicca una tela con S. Antonio Abate sempre del Borremans (1740). Al quinto altare il Martirio di S. Agata, tela del 1605, del grande artista toscano E. Paladini che ha lasciato in Sicilia numerosi capolavori. Di quest´opera ha recentemente scritto lo storico dell´arte Sergio Troisi: "Per il martirio di S. Agata Paladini concepisce un vasto scenario che funge da fondale alla scena del martirio in primo piano, una quinta digradante di architetture costituita da un loggiato alla veneta e da una balconata i cui motivi decorativi riprendono, invece, la tradizione fiorentina". Il tema del martirio di Agata si ricollega al culto catanese della santa che, proprio all´interno della cattedrale, esplode con tutta la sua carica vitale tra momenti di fede autentica e colorite tradizioni popolari.


Chiesa di S. Euplio monumento funerario romano (apogeo)
In via S. Euplio, proprio alle spalle dell’anfiteatro, si possono vedere i ruderi di una chiesetta, dedicata a S. Euplio, interamente distrutta dal bombardamento aereo dell’8 luglio 1943. Dalle pagine di una guida, pubblicata prima della distruzione, apprendiamo che la chiesa aveva un prospetto) in pietra calcarea esposto ad occidente con una porta e alcune decorazioni: una mitra poggiata su un libro chiuso e un bastone su cui è attaccato un campanello (simboli di S. Antonio Abate) e un libro aperto, emblema di S. Euplio protomartire catanese. Erano presenti, anche, due altari laterali (uno con S. Antonio e l’altro con la Sacra Famiglia) e un altare centrale con le colonne. Le decorazioni erano costituite da dipinti murali con le storie di Euplio e Antonio davanti a Maria ed angeli, i quattro Evangelisti e la predicazione di S. Euplio e la sua apoteosi. Alcuni anni fa, in memoria di questa chiesa scomparsa, sono stati affissi alla parete tondi a rilievo con le immagini degli apostoli.

Il sepolcro
All’ingresso della recinzione che custodisce i ruderi dell’antica chiesa di S. Euplio si vede una scaletta che conduce ad un locale sotterraneo. Scesa tutta la scala si accede in una piccola camera molto umida e buia dalle pareti della quale emergono alcune pitture; sul fondo è un piccolo altare con tracce, ormai quasi completamente scomparse, di affreschi parietali. Gran parte dell’ambiente è ricavato dentro la roccia; si vedono anche alcune nicchie laterali. Secondo studi recenti questo ambiente fu adibito a sepolcro.

Le necropoli di Catania antica
Le necropoli di Catania antica si estendevano soprattutto nell’area a nord e a est dell’anfiteatro, che costituiva il limite settentrionale dell’abitato. Le scoperte degli ultimi anni hanno portato alla luce un’ampia necropoli di età romana sotto i palazzi delle Poste e de La Rinascente. Ancora, a est della via Etnea nel primo cortile della Caserma Lucchesi-Palli nella piazza della Fiera del Lunedì, sono stati rinvenuti resti di una sepoltura romana. Un’altra zona fortemente interessata dalle necropoli antiche è quella che ruota intorno all’attuale piazza S. Maria di Gesù e al viale Regina Margherita. In via Gaetano Sanfilippo si trova una costruzione romana inglobata nel cortile di un palazzo moderno. Essa è erroneamente chiamata Ipogeo (sottoterra) ma in realtà è visibile in tutta la sua interezza. Si tratta, in realtà, di un piccolo monumento funerario romano formato da una camera. All’interno dell’ospedale Garibaldi si trova un colombario rettangolare con 18 nicchie. Nel giardino di un edificio moderno del viale Regina Margherita è stato individuato un edificio sepolcrale di forma circolare a due piani. Sempre in questa zona, negli anni Cinquanta del nostro secolo, è stato scoperto dall’archeologo Giovanni Rizza il più grande e significativo complesso cemeteriale della Catania cristiana.

Chiesa di S. Agata al carcere
All’ingresso della chiesa settecentesca di S. Agata al Carcere spicca il prezioso portale decorato, una delle opere più interessanti dell’architettura medievale catanese. Secondo le fonti sembra che il portale costituisse, originariamente, la porta principale dell’antico duomo, poi distrutto dal terremoto del 1693; nel 1734 fu rimosso dal Vaccarini e trasportato nel palazzo Senatorio. Successivamente (1760 circa) venne donato dall’Amministrazione comunale alla Confraternita del Santo Carcere che, in quegli anni, ampliava le strutture della chiesa. Il portale, per i suoi caratteri stilistici, può essere ritenuto un modello unico in Sicilia visto che esso (tranne qualche particolare della decorazione delle colonnine) non ha alcuna somiglianza con i portali delle chiese arabo-normanne. I pilastri delle ante sono decorati con volute di tralci vegetali che si intrecciano con figure umane e fantastiche. Le sei colonnine sono decorate con motivi a scacchi e a spina di pesce; sui capitelli sono scolpite foglie, in alcuni casi, alternate a testine in atteggiamento scimmiesco; sopra i capitelli poggiano alcune sculture con figure umane e zoomorfe (animali accovacciati, un uomo seduto, una scimmia con il gomito appoggiato al ginocchio e con una palla in bocca, ecc.).

La chiesa di S. Maria di Gesù
In piazza Santa Maria di Gesù, quasi nascosta alla vista, si trova la chiesetta con il prospetto del 1706 attribuito a Girolamo Palazzotto. Accanto è la cinquecentesca cappella dei Paternò con l’esterno decorato a fasce bicrome. Nell’edificio si entra da uno splendido portale, scolpito nel 1519 da Antonello Gagini, sormontato da una lunetta con la Vergine Maria e il bambino. La chiesa, proprietà della famiglia Paternò di Carcaci, fu eretta nel Quattrocento, in parte rimaneggiata da Antonello Gagini nel 1518 e ricostruita dopo il terremoto del 1693. Allo stato attuale il piccolo edificio sacro è come fagocitato dagli enormi palazzi moderni che si estendono tutt’intorno alla piazza dominata dalla chioma grandiosa di un Ficus centenario. Particolarmente stridente appare il confronto tra la preziosità delle ville in stile fiorito, che adornano il viale Regina Margherita, e l’essenzialità architettonica della facciata della piccola chiesa. Nel clima post-unitario, che vide l’acquisizione e, a volte, lo smembramento degli edifici sacri, la chiesa e l’annesso monastero, vennero usati, prima come sede di un Ospizio di Mendicità e, poi, furono accorpati all’edificio dell’Istituto scolastico Archimede (che si affaccia sul viale Regina Margherita) al quale il chiostro settecentesco fornì il locale per le officine meccaniche.

La chiesa di S. Chiara
La chiesa e il monastero di S. Chiara occupano un intero isolato; il lato più corto è interamente impegnato dalla chiesa che prospetta sulla importante via Garibaldi (un tempo via S. Filippo) dalla quale passava la processione di S. Agata. Il controllo della visuale della processione ha, spesso, condizionato la scelta di soluzioni particolari all’interno di uno stesso schema tipologico; esempi di queste soluzioni sono le due logge belvedere costruite sulle cupole della chiesa di S. Giuliano (in via Crociferi) e in quella di S. Chiara. Da questa loggia era possibile seguire tutto il percorso della santa dal Duomo, in avanti, lungo la via Garibaldi. Il monastero, oggi sede di uffici comunali, è stato costruito nell’area dell’isolato retrostante al coro della chiesa. Il disegno della facciata della chiesa è di S. Palazzotto(metà del Settecento). All’interno, preceduto da una breve gradinata, si può vedere un pannello in legno con raffigurazioni di scene della Bibbia. Sopra l’ingresso è una splendida cantoria dorata con l’immagine di S. Chiara. Gli altari sono cinque: quello dell’Immacolata, quello di S. Lorenzo, l’altare maggiore, riccamente decorato sul quale poggiano le statue di S. Chiara e S. Francesco, l’altare di S. Chiara e quello del SS. Crocefisso con un prezioso reliquiario. Al centro della volta è un grande affresco che rappresenta Il Trionfo delle Clarisse. E un’opera del 1766 dell’artista Olivio Sozzi. Tra le cose più preziose della chiesa è il bellissimo pavimento di marmi policromi.

Chiesa Santa Maria dell'Aiuto
La bella chiesa di S. Maria dell’Aiuto con il maestoso prospetto di pietra calcarea, si affaccia sulla piazzetta omonima che si allarga alla fine di via S. Giovanni. E preceduta da un sagrato sopraelevato chiuso da una cancellata difetto. A fianco della chiesa si intravede il profilo di una piccola cappella, che contiene la Santa Casa di Loreto alla quale sarà dedicata una scheda particolareggiata. Prima di esaminare le caratteristiche architettoniche della chiesa accenneremo brevemente alla collocazione della stessa all’interno di un contesto urbano di non semplice ed immediata lettura. L’edificio sacro è incastonato in un isolato che appartiene al quartiere di San Cristoforo, uno dei più caratteristici di Catania; da alcuni anni questo quartiere è stato inserito, a pieno titolo, negli itinerari artistici della città perché racchiude un numero considerevole di monumenti che meritano di essere visitati. L’isolato su cui sorge la chiesa di S. Maria dell’Aiuto era, prima dell’eruzione del 1669, posto sulla parte sommitale di un tratto della cinta muraria cinquecentesca e si protendeva sui territori della piana la cui ricchezza e fertilità era leggendaria; è proprio da questi terreni coltivati che la popolazione catanese riusciva a trarre sostentamento e ricchezza. A causa dell’eruzione vennero, nel giro di pochi giorni, irrimediabilmente distrutte le aree coltivate circostanti e la città si vide privata di quei terreni che costituivano una delle principali fonti di benessere.Nella sagrestia del Duomo di Catania è possibile vedere un affresco che narra i tragici momenti dell’eruzione del 1669.

La chiesa della SS. Trinità
La chiesa della SS. Trinità(1746-1751), alla quale si affianca il monastero, (oggi sede di un liceo scientifico) fu costruita nel sito attuale, e cioè in via V. Emanuele, dopo il terremoto del 1693. Il disegno della facciata, concava nella parte centrale, è attribuito a Francesco Battaglia; sul portone d’ingresso, preceduto da una scalinata in pietra lavica, poggiano due figure scolpite con lo sguardo rivolto verso l’occhio luminoso di Dio posto al centro. L’ampia superficie della facciata è mossa dalle colonne e dai tre finestroni che si aprono nel secondo ordine. In alto poggiano due torrette quadrangolari chiuse da cupolette. A causa di una livellazione del piano stradale eseguita nella seconda metà dell’Ottocento, il portale d’ingresso è stato abbassato e la sala centrale è stata raccordata all’atrio con una doppia rampa di scale. Anche l’ingresso laterale, sulla via Quartarone, è stato chiuso perché la strada si trova ad un livello molto più basso di quello della costruzione. L’interno della chiesa ha la forma di una ellisse; l’area presbiteriale è a pianta rettangolare; nell’insieme si è voluto dare all’ambiente un effetto di fusione spaziale. Sopra l’ingresso è l’elegante cantoria dorata e finemente decorata.

Il Monastero dei Benedettini
"Pur presentandosi incompiuto a nord della grande chiesa, il monastero di San Nicolò l’Arena, per la sua vastità è ritenuto secondo, in Europa, soltanto a quello portoghese di Mafra. Soprattutto nel ‘700 il suo immenso patrimonio, gli stretti legami con la nobiltà dalla quale provenivano la maggior parte dei suoi monaci, e un notevole prestigio culturale gli conferirono un ruolo di rilievo, non circoscritto al territorio catanese. Meta obbligata dei viaggiatori - che ricordano ammirati l’ospitalità, le raccolte d’arte e il fasto dei Benedettini - il monastero si presentava come una reggia sorta sulla vasta area appoggiata alle mura occidentali della città (senza porte lungo la cortina compresa tra i bastioni degli Infetti e del Tindaro) e condizionava la vita civile e religiosa di Catania, dominando oltre i confini del largo muro di cinta che lo serrava negli altri tre lati, esaltandone l’autonomia, l’indiscusso potere economico e il carattere di città nella città’, soprattutto in rapporto ai contigui quartieri popolari". Con queste parole di Vito Librando (Notizie storiche sul monastero di San Nicolò l’Arena, 1988) abbiamo voluto introdurre la nostra breve descrizione di questo sontuoso complesso monumentale che, dal 1977, è stato ceduto all’Università di Catania come sede della Facoltà di Lettere e Filosofia. Oggi, compatibilmente con le attività che si svolgono all’interno degli istituti universitari, è possibile visitarne una parte che consente, comunque, di farsi un’idea della grandiosità e della magnificenza dell’insieme. Entrando da piazza Dante si viene immediatamente conquistati dall’esuberanza decorativa delle facciate e dei balconi. Sempre Vito Librando ci spiega che: "Nel 1703 fu steso il primo contratto degli intagli delle facciate: queste, in poco più di vent’anni, furono completate e decorate con scartocci’, figure, mascaroni (mascheroni), puttini’, doviziosi frutti di un fantasioso repertorio ed esempio senza uguale di un gusto barocco ancora debitore della tradizione manieristica, diffuso e persistente nella fascia orientale dell’Isola". All’interno del monastero si possono visitare: i lunghi corridoi (dai quali è possibile ammirare i chiostri), il grande refettorio e le celle dei religiosi.

La chiesa di San Nicola
La grande chiesa di San Nicola, che si ispira ai modelli architettonici romani, fu iniziata nel 1687 su disegno di G.B. Contini. Dopo il terremoto del 1693 i lavori furono portati avanti da diversi architetti, tra cui Francesco Battaglia e Stefano Ittar; quest’ultimo realizzò la cupola alta 62 metri: il prospetto, come si può vedere dalle coppie di colonne non finite, rimase incompiuto (1796); tra le cause principali dell’interruzione dei lavori vi furono le difficoltà di ordine tecnico e i gravi problemi economici. L’interno della chiesa è a tre navate e raggiunge una lunghezza di 105 metri; ciò che colpisce è la grandiosità delle partizioni architettoniche e la chiara luce diffusa che penetra dagli alti finestroni. Nella navata destra e sinistra si aprono le cappelle semicircolari precedute da eleganti balaustrate. A destra: cappella di S. Gregorio papa con una tela del Camuccini; cappella di S. Giovanni Battista con una tela del romano Tofanelli; cappella di S. Giuseppe con una tela del messinese Mariano Rossi. A sinistra: cappella di S. Andrea con tela di F. Boudard; cappella di S. Euplio con tela del Nocchi e cappella di S. Agata con grande tela di M. Rossi. Alle estremità del braccio orizzontale della croce latina sono due cappelle: a destra è quella dedicata a S. Nicolò di Bari e, a sinistra, quella di S. Benedetto. Al centro dell’area presbiteriale spicca il grande altare maggiore realizzato con materiali preziosi, tutt’intorno si dispongono gli stalli del coro ligneo scolpiti dal palermitano Nicolò Bagnasco. Ma l’opera che aveva, nel passato, dato più lustro alla chiesa era il celeberrimo organo di Donato del Piano. In una guida di Catania del 1899 leggiamo: "Basta questa sola meravigliosa macchina per la celebrità del monastero dei Benedettini di Catania. Fu opera dell’abate Donato del Piano e vi sono esattamente imitati tutti gli strumenti a corda ed a fiato: ha 72 registri, cinque ordini di tastiere, 2.916 canne. Si ode dall’ottavino al serpentone, dal violino al contrabbasso, dal tamburo rollante e battente alla pastorale zampogna. Non vi è cosa più solenne, più profonda, più maestosa dei ripieni che la orchestra più perfetta non potrebbe produrre". Anche lo scrittore Wolfgang Goethe, in visita a Catania (1787), andò a vedere questa meraviglia: "Ci recammo nell’immensa chiesa - scrive - e il frate maneggiò il magnifico strumento, facendo sospirare del fiato più leggero gli angoli più reconditi o facendoli rintronare dei tuoni più potenti". Oggi questo capolavoro non esiste più perché tutte le sue parti sono state barbaramente saccheggiate. Degna di una particolare attenzione è anche la grande meridiana lunga 39 metri. Fu realizzata, nel 1841, dagli astronomi Wolfrang Sartorius barone di Waltershausen di Gottinga e dal prof. Cristiano Peters di Flensburgo. Lo spettro solare vi passa con un diametro maggiore in inverno di 938 millimetri e minore in estate di 28 millimetri, senza la penombra. L’altezza dello gnomone sopra la linea della meridiana è di metri 23 e 895 millimetri. Nei fianchi delle lastre di marmo con le figure delle Zodiaco si possono leggere varie informazioni relative alla meridiana.

La chiesa di S. Francesco e l’Immacolata
Il percorso comprende anche la chiesa di S. Francesco e dell’Immacolata preceduta da un’ariosa scalinata e dal sagrato chiuso da una balaustrata (1850 ca.) sulla quale poggiano le statue di S. Giuseppe da Copertino, S. Chiara, S. Agata e S. Bonaventura. La facciata in pietra calcarea è chiusa, ai lati, da due torri quadrangolari che conferiscono alla costruzione un ardito slancio verticale. La storia della chiesa è strettamente legata alla figura della regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico Il d’Aragona e sorella del minorita S. Ludovico da Tolosa. Una lapide ricorda che nella chiesa sono custodite le spoglie della regina che morì nel 1343; in una tela di pittore anonimo del Settecento (a sinistra dell’ingresso) è rappresentata la regina in compagnia di S. Chiara fondatrice dell’ordine delle Clarisse. L’interno della chiesa e ampio e luminoso, tra le opere di interesse artistico si possono ammirare (navata destra): una statua dell’immacolata attribuita al palermitano Bagnasco (XVIII secolo); l’immagine dell’immacolata corrisponde all’iconografia barocca con la Vergine vestita di azzurro, eretta sul globo terrestre, con ai piedi la mezzaluna e una corona di dodici stelle intorno alla testa. Al primo altare è I’ immacolata con S. Francesco e le anime purganti di P. Liotta (1850-1912); sull’altare successivo è S. Giuseppe da Copertino in estasi di G. Rapisardi (1799-1859); di G. Zacco (1786-1843) è il S. Ludovico da Tolosa e S. Bonaventura sul terzo altare. Al quinto altare è una interessante tavola (pittore ignoto) quattrocentesca che rappresenta S. Antonio. Alla fine della navata è la cappella con l’Immacolata chiusa da un cupolino. L’ampia area presbiteriale, coperta da una finta cupola con i pennacchi dipinti da Francesco Sozzi, pittore palermitano padre del più famoso Olivio, ha, al centro, un bellissimo altare cinquecentesco; sullo sfondo è un grande affresco di F. Battaglia (1701-1788) con l’episodio dell’indulgenza della Porziuncola. A destra dell’altare è l’organo sul quale si esercitava il piccolo Vincenzo Bellini che era nato nel palazzo Gravina-Cruyllas che si trova proprio di fronte alla chiesa. Oggi nella casa natale di Bellini è stato allestito un museo che conserva manoscritti e memorie del grande musicista catanese. Lungo la navata sinistra si dispongono tre altari in marmi policromi: al secondo è un’opera particolarmente interessante: la Salita al Calvario (1541) di Jacopo Vignerio che fu recuperata dalle rovine del terremoto del 1693; è la copia di una famosa opera di Raffaello conosciuta con il nome di Lo Spasimo di Sicilia perché fu realizzata per la chiesa palermitana dello Spasimo. Agli ultimi due altari sono le tele: lo Sposalizio della Vergine, opera settecentesca del Gramignani Arezzi e un S. Francesco che riceve le stimmate del Guarnaccia (1770). Alla fine della navata è la cappella del Crocefisso.

La chiesa di S. Giuliano
La chiesa di S. Giuliano è inserita in un contesto urbano di grande suggestione; si affaccia, infatti, sulla via Crociferi che può essere considerata, senza alcun dubbio, la "perla" della ricostruzione settecentesca di Catania. Proprio di fronte alla chiesa è il grande complesso dei Gesuiti costituito dalla chiesa di S. Francesco Borgia e dal grande Collegio (oggi sede dell’Istituto d’Arte) che si estende, molto in profondità, con i quattro cortili e gli ambienti per i religiosi. Secondo alcuni studiosi la chiesa di S. Giuliano può essere attribuita al Vaccarini che l’avrebbe realizzata tra il 1739 e il 1751. Il prospetto, concavo al centro, è movimentato da una loggia di coronamento che si dispone all’altezza del secondo ordine della facciata. Sul frontone spezzato, che sovrasta il portale d’ingresso, poggiano due figure femminili allegoriche. Il breve sagrato, chiuso da una cancellata, è decorato da una tessitura di sassi bianchi e neri. In alto, la cupola è avvolta da un loggiato poligonale che ricorda quello della chiesa di S. Chiara. Da questo loggiato le religiose, spesso provenienti da famiglie della nobiltà catanese, potevano seguire la processione della festa di S. Agata che, la notte del giorno 5, saliva lungo la via Sangiuliano per svoltare, poi, in via Crociferi. L’interno, avvolto da una suggestiva luce dorata, è un grande spazio ottagonale in cui trovano posto le ampie cappelle e gli altari. Le opere d’arte più importanti sono: l’altare maggiore, un Crocefisso del XIV secolo, la Madonna delle Grazie con S. Giuseppe e S. Benedetto di O. Sozzi e un S. Antonio Abate del Seicento. Accanto alla chiesa è il convento di S. Giuliano, oggi sede della Camera del Lavoro.

La chiesa di S. Biagio
La chiesa di S. Biagio si trova in piazza Stesicoro proprio di fronte alla grande trincea con i ruderi dell’anfiteatro. La bianca facciata, preceduta da una gradinata, è tardo-settecentesca. Le origini di questa chiesa risalgono al 1098. Dopo il terremoto del 1693 venne riedificata per volere del vescovo Andrea Riggio che vi incorporò la chiesa filiale di S. Biagio di cui il tempio prese nome. Sempre il Riggio vi istituì, nel 1710, la congregazione dei preti secolari sotto il titolo di Maria Santissima dei Sette Dolori. A ricordo di questo fatto fu scolpito un grande medaglione dell’Addolorata, opera di Salvatore Calì, che spicca al centro della bianca facciata. All’interno si possono ammirare: una tela con S. Giovanni Nepomuceno, sul primo altare e un dipinto con Il martirio di S. Biagio, sul secondo altare (lato destro). Il presbiterio contiene due cappelle, una dedicata al Crocifisso (sinistra) e una dedicata a S. Agata. In questa cappella è custodita una preziosa reliquia che la tradizione lega al martirio della patrona di Catania, la cosiddetta "fornace" di S. Agata da cui viene il nome popolare della chiesa la "carcarella". La "fornace" è custodita da un vetro; un iscrizione latina ci ricorda una delle fasi più drammatiche della vicenda umana di Agata, il tormento con i carboni ardenti; dice infatti l’iscrizione: "Qui fu travolta fra i carboni accesi". La tradizione tramanda che la santa riuscì a superare questa durissima prova e, da allora, per analogia, è stata eletta salvatrice dal fuoco delle eruzioni. Per chi abita ai piedi dell’Etna è importante credere in un miracolo capace di fermare i fiumi di fuoco incandescente che, nella loro corsa, travolgono case e terreni; in tal senso, nei secoli, si è sempre più rinsaldato il legame tra Agata e la salvezza dal fuoco; per i catanesi la reliquia più potente è il "Velo di S. Agata" che l’anno successivo alla sua morte (252) venne portato in processione e avvicinato al fronte lavico che minacciava la città. Il velo, si racconta, cambiò il suo colore mutando da bianco in rosso; è evidente il valore simbolico di questo secondo colore che diventò controparte attiva del rosso fuoco dell’Etna. Oltre alla cappella della fornace si incontrano l’altare maggiore, l’altare dedicato alla Sacra Famiglia e un altro altare con il martirio di S. Andrea.

La chiesa dei Minoriti
I chierici regolari Minoriti vennero a Catania nel 1625 grazie alla protezione del Senato e l’impegno del vescovo Innocenzo Massimo. Nel 1628 si trasferirono nella chiesa di S. Michele in cui eressero una casa che fu demolita nel 1693 insieme alla chiesa che avevano appena cominciato a costruire. Nel 1630 Giambattista Paternò, nobile catanese (che si fece seppellire dentro la chiesa), lasciò in eredità ai religiosi una grossa parte dei suoi beni. La chiesa si adegua alla tipologia basilicale con le tre navate divise da pilastri, il prospetto piano e la cupola che fu iniziata nel 1771 e completata nel 1787. Il prospetto è in bianchissimo calcare che, oggi, dopo la recente ripulitura, contrasta magnificamente con il nero delle strade e dei marciapiedi. Superato il portone d’ingresso si incontra una scala doppia formata da 13 gradini di marmo; dentro la chiesa si possono ammirare due fonti per l’acqua benedetta poggiare su tavoli in marmo, opere eccezionali in cui si fondono straordinaria perizia tecnica e armonia compositiva. Tra le opere d’arte degne di rilievo segnaliamo: una pala d’altare tardosettecentesca con S. Francesco Caracciolo, l’Arcangelo Michele con la figura rivestita da una lamina d’argento sbalzata, un Crocefisso marmoreo (fine Settecento) e una Annunciazione di Guglielmo Borremans. Sul monumento sepolcrale di G. Battista Paternò, con il ritratto del nobile e l’iscrizione, si legge: "A Giovanni Battista, patrizio catanese, di questa chiesa benemerito protettore, i Padri chierici minori testimoniano il loro grato animo". Nel presbiterio è collocato l’organo monumentale decorato da fregi dorati.

Nei primi secoli del cristianesimo, nel luogo dell’attuale chiesa, sorse una piccola edicola dedicata alla Madonna dell’Elemosina, da qui l’origine dell’antico nome della chiesa. Il tempio, che nei secoli divenne sempre più importante, fu frequentato dai re aragonesi e dalla loro corte per questo (nel 1396) ebbe il titolo di "Regia cappella". Con bolla del 31 marzo 1446, Papa Eugenio IV vi istituì un collegio di canonici, scegliendoli tra i sacerdoti delle altre chiese della città; di qui il titolo di Collegiata.

La Collegiata
Dopo il terremoto del 1693 venne ricostruita nello stesso luogo dell’antica chiesa ma rovesciata, con la facciata disposta lungo la via Etnea (un tempo Uzeda). Questa nuova collocazione consentiva alla chiesa di affacciarsi sulla via più larga e importante della Catania risorta dalle distruzioni. L’edificazione della chiesa settecentesca si deve all’architetto Antonio Amato su progetto del gesuita Angelo Italia. La facciata, opera straordinaria di Stefano Ittar (1758), è mossa da tutta una serie di concavità e convessità che conferiscono all’insieme musicalità ed armonia. Essa poggia su un podio sopraelevato preceduto da una larga gradinata; il portone centrale e gli ingressi laterali sono incorniciati da sei colonne con eleganti capitelli corinzi. L’arco del nicchione centrale è sormontato da un’aquila con le ali spiegate; ai lati sono due angeli che reggono una tromba. Nelle altre nicchie sono le sculture con S. Pietro e S. Paolo. L’interno è a tre navate riccamente decorate; addossati ai pilastri sono alcuni medaglioni con gli attributi della Vergine Maria. All’interno della chiesa sono custodire grandi tele che raffigurano S. Euplio e S. Apollonia (del Sozzi) e un Martirio di S. Agata del Gramignani (1779). In fondo alla navata destra è la cappella dell’Immacolata con una bella statua della Madonna. Nel Presbiterio è un coro ligneo formato da 36 stalli e, ai lati del coro, sono due opere di Giuseppe Sciuti: una rappresenta l’antica edicola della Madonna, l’altra rievoca la consegna della bolla da parte del Papa Eugenio IV al beato Pietro Geremia. Anche gli affreschi della volta sono opera dello Sciuti che portò a termine i lavori nel 1898.

La Badia di Sant’Agata
Di fronte al prospetto nord della cattedrale, affacciata sulla via V. Emanuele, la chiesa della Badia di S. Agata occupa, insieme all’annesso ex monastero (oggi di proprietà comunale) un intero isolato. La morbida tela del prospetto, mossa dal ritmo di onde leggere, cattura su di sé l’attenzione altrimenti distratta dalle altre macchine barocche del Duomo, della fontana dell’Elefante e del palazzo municipale. L’edificio che oggi vediamo poggia sulle rovine dell’antica chiesa e convento dedicati a S. Agata, nel 1620, da Erasmo Cicala e crollati a causa del terremoto del 1693.

Chiesa Santa Maria di Ognina
La città di Catania è in stretta simbiosi con il mare; le coste del catanese, varie ed egualmente pittoresche, si dispongono da un lato verso il Simeto e dall’altro verso Acicastello; quasi al confine con Acicastello si trova il pittoresco borgo di Ognina, meta privilegiata di chi vuole godere un momento di fusione con il mare e il mondo dei pescatori. Le barche, decorate con fasce di vario colore, affollano il piccolo porto e le banchine si trasformano, soprattutto la domenica, in un animato e colorato mercato del pesce. Il nucleo del quartiere, con i suoi poli più importanti, la chiesa, la torre (accanto alla chiesa) e il porto, cominciò ad assumere l’aspetto di borgo marinaro nel 1714: alcuni documenti del tempo attestano la presenza di magazzini, bettole e case di barcaioli. Uno dei momenti di massima fioritura edilizia fu la fine dell’Ottocento quando, in questa zona, furono ubicate alcune case per la villeggiatura appartenenti alle famiglie benestanti che avevano la possibilità di possedere una casa fuori dal centro storico cittadino.

La chiesa di S. Agata al Borgo
La chiesa di S. Agata al Borgo è inserita in un contesto urbano molto complesso nel quale si innestano e si sovrappongono stili ed architetture molto diverse per uso e collocazione storica. Sul lato occidentale della piazza che, oggi, è intitolata a Cavour, è sistemata una bella fontana dedicata alla dea Cerere; fu realizzata, nel 1757, dallo scultore palermitano Giuseppe Orlando. In origine questa fontana era stata realizzata per abbellire la piazza Università, ma, nei primi anni dell’Ottocento venne trasferita dove ora la vediamo.

x info: Comune di Catania